ACQUA
(SECONDA PARTE)
Come illustrato nel post precedente, bere almeno un litro e mezzo di acqua al giorno è fondamentale per il nostro benessere fisico. Meglio è se si arriva a due. Tale abitudine contribuisce, tra le altre cose, a ridurre il rischio di calcolosi renale e a tenere pulite le vie urinarie da potenziali ristagni microbici nocivi e favorisce l’eliminazione di tossine.
Ma l’acqua non è tutta uguale. Difatti la legislazione per tutelare la salute delle persone distingue le caratteristiche che deve avere, in base all’ uso che se ne deve fare.
Ad esempio, l’acqua può essere destinata alla balneazione oppure al consumo umano. In ogni caso l’obiettivo è la tutela della salute umana.
Per l’acqua destinata alla balneazione alcuni riferimenti normativi sono: il Decreto legislativo 30 maggio 2008 n. 116 e il Decreto Ministeriale 30/3/2010 (G. U. del 24 maggio 2010 S.O. 97) con cui l’Italia ha recepito la Direttiva europea 2006/7/CE.
Per le acque destinate al consumo umano invece, il riferimento principale è il Decreto Legislativo n.31 del 2001, che recepisce la Direttiva 98/83/CE e che si applica a tutte le acque destinate all’uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, sia in ambito domestico che nelle imprese alimentari, a prescindere dalla loro origine e dal tipo di fornitura.
Per ulteriori dati e informazioni si può vedere il sito del Ministero della salute: http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_4.jsp?lingua=italiano&tema=Ambiente%20e%20salute&area=acque_potabili
I processi di potabilizzazione che per legge tutti gli enti ed i gestori preposti devono mettere in atto, fanno sì che le nostre acque del rubinetto siano più che adeguate per il consumo umano. Ovviamente qualche eccezione c’è sempre.
Per le acque del rubinetto i metodi di potabilizzazione più utilizzati fanno uso del cloro e dei suoi derivati. Il cloro presente è molto volatile e abbandona l’acqua piuttosto presto una volta messa nel bicchiere (5 minuti circa).
L’Italia è il primo paese in Europa per consumo di acque in bottiglia e il secondo al mondo. La motivazione nel nostro paese è fondamentalmente di carattere commerciale, non per necessità qualitativa. Una tendenza sviluppatasi a partire dagli anni ’80 ed in costante crescita.
Per legge le acque in bottiglia devono essere confezionate come sgorgano dalla sorgente e non possono subire processi migliorativi (come i trattamenti per la potabilizzazione) ed accezione dell’aggiunta di anidride carbonica per renderle frizzanti e l’ossidazione all’ aria con ozono, che serve per eliminare i residui di alcuni metalli pesanti e dell’arsenico, secondo la Direttiva 2003/40/CE. Tali trattamenti devono comunque essere indicati in etichetta.
L’acqua in bottiglia può essere trasportata solo con i recipienti destinati al consumatore finale.
E’ bene fare attenzione a come le bottiglie vengono stoccate e conservate nei negozi perché bottiglie esposte per diverso tempo al sole diventano potenzialmente pericolose, in quanto sono generalmente in PET (Polietilentereftalato) che con le radiazioni solari rilascia sostanze tossiche per l’uomo; in particolare Bisfenolo A. Se si dovessero notare bottiglie d’acqua in PET lasciate sotto il sole in qualche punto vendita, bisognerebbe segnalarlo agli organi di controllo competenti, come ASL, Nas, ecc.
Pertanto, anche l’acqua del rubinetto è meglio tenerla in bottiglie di vetro piuttosto che di plastica, a causa delle potenziali cessioni (il rilascio delle sostanze nocive) derivanti da queste ultime.
Le acque potabili a loro volta hanno caratteristiche specifiche e andrebbero scelte in base alle proprie necessità. Uno dei parametri principali è il cosiddetto residuo fisso a 180°, ossia la quantità di sali minerali presenti una volta che l’acqua viene fatta evaporare a tale temperatura. E’ un valore espresso in mg/l. Un residuo fisso inferiore a 50 mg/l indica acque minimamente mineralizzate, dette anche acque “leggere”; adatte a chi ha ad esempio problemi renali, ma in generale troppo povere di sali minerali per un’alimentazione quotidiana bilanciata, in condizioni medie di salute. Le acque con residuo fisso tra 50 e 500 mg/l sono le cosiddette oligominerali, le più indicate per un uso costante. Quelle con residuo fisso oltre i 500 mg/l sono acque minerali, da bere se si hanno particolari esigenze di reintegrazione di sali minerali, ma troppo “pesanti” per un uso comune. Acque con un residuo fisso superiore a 1500 mg/l sono definite ricche di sali minerali e si tratta generalmente di acque di fonti termali da usare per brevi e mirati cicli di cure.
Come avevo già accennato in precedenza non è invece da dare troppo peso alla questione della quantità di sodio presente nelle acque potabili, perché la differenza tra una che ne contiene poco e una che ne contiene molto è tale che basta mangiare un’oliva per annullarla.
In commercio sono diventati popolari alcuni filtri e caraffe per la depurazione delle acque del rubinetto. Tali filtri non hanno alcun effetto sulla potabilità dell’acqua che ha già tutte le caratteristiche richieste, ma possono incidere sul sapore e limitare la quantità di alcuni sali minerali. Vanno benissimo se uno li gradisce, soprattutto in relazione al sapore che possono determinare nell’ acqua, ma è FONDAMENTALE che i filtri vengano puliti e sostituiti con regolarità, altrimenti il rischio serio è che facciano da substrato per lo sviluppo e proliferazione di batteri patogeni, diventando più un problema che un beneficio.
Biologa Nutrizionista
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