Mi viene chiesto spesso come mai negli ultimi anni si sente parlare molto più che in passato di celiachia e disturbi legati alla digestione del glutine.
Si tratta di una risposta multifattoriale, in cui predisposizione genetica e condizioni ambientali si uniscono. Alcune informazioni di base, che spero risultino utili: la celiachia, conosciuta anche come enteropatia glutine-sensibile si manifesta a causa di una risposta “errata” del sistema immunitario nei confronti del glutine. Il glutine è un componente di diversi cereali, tra cui il frumento, alla base di gran parte dell’alimentazione occidentale.
Per quanto riguarda le condizioni ambientali c’è da considerare che noi esseri umani ci siamo evoluti nel corso di milioni di anni congiuntamente ad altri esseri viventi, tra cui le specie vegetali. Tuttavia negli ultimi secoli i metodi di coltivazione dei cereali e preparazione dei cibi hanno subito cambiamenti profondi ed estremamente repentini, rispetto ai tempi dell’evoluzione.
Circa 10.000 anni fa, gli esseri umani, nella regione della Mezzaluna Fertile coltivarono per la prima volta in forma stanziale il Triticum monococcum, probabilmente dopo aver scoperto, che nei punti in cui cadevano i semi di una pianta, si rigeneravano piante dello stesso tipo.
Questo tipo di grano aveva un basso tenore di glutine ed un corredo genetico di circa 50.000 geni.
Nei secoli, per migliorare la resistenza alle malattie, per rendere gli impasti più soffici, facili da lavorare e duraturi sono stati fatti incroci che hanno portato ad avere per es. il Triticum turgidum, un grano da 100.000 geni, e oggi il Triticum aestivum, frumento con ca. 150.000 geni. Parallelamente è aumentato il contenuto di glutine.
Si tenga presente che l’essere umano ha un corredo genetico di circa. 23.000 geni (fino a qualche tempo fa si pensava fossero molti di più).
Il primo grano, il Triticum monococcum, oltre ad essere poco ricco di glutine, conteneva dei peptidi protettivi che, almeno in parte, impedivano a quelli tossici di esplicare la loro azione lesiva a livello tissutale.
L’uomo, nel selezionare qualità di grano più redditizie, ha finito per produrre il grano attuale, ricco di glutine e con frazioni tossiche per il celiaco.
Le prolammmine (gliadine + glutenine) precursori del glutine sono ricche dell’amminoacido Prolina. Ciò le rende poco digeribili perché nel tratto digerente dell’uomo sono carenti enzimi digestivi (prolil endopeptidasi) in grado di rompere il legame endopeptidico che coinvolge questo amminoacido.
Da un punto di vista di predisposizione genetica, si è visto ad esempio che il sistema immunitario dei celiaci viene “ingannato” da sequenze peptidiche presenti nel glutine, come la sequenza peptidica 33-MER che simula un virus ostile all’uomo, il Rotavirus. Ma anche molte altre sequenze stimolano i linfociti T infiltranti la mucosa intestinale, facendoli proliferare e producendo sostanze con attività infiammatoria.
L’ingestione di glutine attiva quindi una errata risposta immunitaria che altera molti dei meccanismi di barriera intestinale, provocando danni intra ed extra intestinale. La celiachia non curata porta ad atrofia grave dell’epitelio intestinale.
I sintomi tipici della malattia sono: gonfiore, dolore addominale, diarrea, stanchezza cronica, perdita di peso, anemia, dermatite erpetiforme (attualmente considerata come la variante cutanea della malattia celiaca e si manifesta soprattutto in corrispondenza di gomiti, ginocchia e glutei).
Al momento l’unica terapia nei confronti della celiachia è l’esclusione del glutine dall’ alimentazione.
La celiachia può manifestarsi a qualsiasi età, ma vanno monitorate con particolare attenzione le fasi di maggiore “fragilità” dell’essere umano, ossia infanzia e terza età.
Cosa diversa è la cosiddetta sensibilità al glutine, di cui tratterò in un prossimo post.
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